LaTurchia attuale e' il prodotto di una serie di ribellioni, rivoluzioni e
riforme tese a costruire un moderno Stato europeo. La storia la unisce al nostro
continente, ma questo non rende certo pi facili i negoziati di oggi.
In seguito all'apertura commerciale e al
processo di modernizzazione il Governo di Pechino ora si vede lottare contro
ideali democratici provenienti dall'interno e dall'esterno del paese.
Energia
Stiamo entrando nella seconda metà
dell'era del petrolio, che sarà caratterizzata dal declino degli
approvvigionamenti. Potrebbe essere la fine dell'economia come la conosciamo
oggi ma fare previsioni è impossibile, perchè sarà la prima volta che
una risorsa cruciale esaurirà .
Le organizzazioni sindacali europee scendono in piazza contro la direttiva Bolkestein. In un comunicato diffuso ieri, la Confederazione Europea dei sindacati (Ces) ha indetto per il prossimo 14 febbraio una mobilitazione di protesta a Strasburgo: una manifestazione davanti al Parlamento Europeo in occasione della discussione della direttiva sulla liberalizzazione dei servizi nell’Ue.
Normalmente, gli economisti interpretano le resistenze a riforme di questo tipo attraverso le lenti del teorema di Stolper-Samuelson: i rendimenti di un fattore la cui offerta è relativamente scarsa sono destinati a ridursi quando l’economia si apre al commercio. Così, se non si possono introdurre trasferimenti compensatori, alcuni gruppi sociali si opporranno alla liberalizzazione.
Il problema con questa posizione è che si deve guardare alle parrucchiere francesi come a una parte di un gruppo più ampio: i lavoratori "non qualificati". I quali, se in scarsa offerta rispetto all’Est, soffrirebbero di ogni commercio in beni in cui è prevalente l’uso del fattore di lavoro non qualificato. Non c’è dunque alcuna ragione per cui le parrucchiere francesi dovrebbero preoccuparsi delle parrucchiere polacche e non, per esempio, delle lavoratrici tessili di quel paese, o della concorrenza dei milioni di disoccupati senza alcuna specializzazione presenti nel mercato del lavoro francese. Anche se poi dovessero ancora temere per una pressione concorrenziale diversifichino il prodotto della propria attività o si specializzino ancora come hanno fatto milioni di piccole e medie imprese quando si è assistito alla liberalizzazione nel mercato delle merci.
Viene quindi da chiedersi: Perché il processo di liberalizzazione delle merci non ha dato vita a nessun dibattito ma al contrario è stato accolto con stimolo da parte dei management delle aziende interessate? Che differenza passa tra il mercato dei servizi e quello dei beni? La teoria economica arcaica del liberalismo di Smith non considera nessuna divergenza mentre quella più recente di Amartya Sen e di Benoìt Mandelbrot (matematico padre della finanza frattale), e la critica al modello da parte di Neo-Keynesiani come Vernon Smith, Daniel Kahneman e Daniel McFadden, mette in luce una chiara realtà. La stessa società, che la corrente liberale ha dotato di potere decisionale attraverso il passaggio dalla centralità governativa delle decisioni economiche (lo stato nel modello sociale o comunista), è irrazionale o meglio non è in grado di giudicare e stabilire le giuste strategie economiche (e non) che possono creare un valore aggiunto sociale (nel senso più ampio del termine) nel tempo. Non è sorprendente che le decisioni degli uomini del mondo reale si discostino dalle decisioni ideali della teoria economica. Pochi di noi sarebbero infatti disposti a ritenere che i propri simili siano perfettamente razionali. Nella vita di tutti i giorni proviamo gioia, paura, rabbia e altri sentimenti che condizionano le nostre scelte in modo poco “calcolato”. Che si tratti di scegliere quale prodotto acquistare o come investire denaro, il nostro accesso alle informazioni e le nostre capacità di calcolo rivelano immancabilmente i loro limiti. Gli economisti più aperti ai dibattiti lo sanno bene, ma hanno a lungo ritenuto, al fine di spiegare il comportamento economico e il funzionamento dei mercati, che le deviazioni dalla razionalità siano trascurabili. La razionalità è l’enorme ostacolo della globalizzazione economica e non solo, basta pensare a delle elezioni democratiche in una nazione composta da persone “politicamente” irrazionali. Per chi lo sta pensando non intendo affatto criticare l’intervento militare in Iraq, anzi, credo che colmare un deficit razionale sia il compito di qualsiasi individuo o soggetto giuridico intento ad esportare gli ideali di libertà, democrazia e globalizzazione.
Pesante tonfo a Wall Street di Google: il motore di ricerca perde il 10% in apertura di seduta. Un calo legato ai deludenti dati di bilancio rilasciati ieri notte e che equivale ad una perdita della capitalizzazione di mercato di 11,5 miliardi di dollari. Crollo anche alla Borsa di Francoforte (-14%). Avvisati appena in tempo!!!
Non c’è andato morbido il famoso economista americano Nouriel Roubini. Nell’intervento concessogli a Davos ha espresso tutta la sua preoccupazione sulla fragilità del sistema che regola l’Unione Monetaria Europea e ha previsto un futuro argentino per l’Italia pur non segnalando a mio avviso i veri problemi che possono portare il “Bel Paese” a tale destino. (Ecco il sunto del suo discorso tradotto da lavoce.info.)
I limiti di Roubini: 1. Il tasso di crescita medio nell’Eurozona è sceso dal 2001 in poi. Perciò la dispersione (deviazione standard) dei tassi di crescita intorno a questa media più bassa, sarà inferiore. Si dovrebbe piuttosto guardare al coefficiente di variazione (la deviazione standard divisa per il tasso di crescita medio) per avere una corretta misura della dispersione. E quest’ultima misura mostra una crescita della divergenza.
2. La deviazione standard tra il 1999 e il 2005 è stabile perché le tre grandi economie europee (Germania, Italia e Francia) sono crescite poco tutte e tre insieme. Così, la bassa dispersione è dovuta a una scarsa crescita delle tre maggiori economie, ma la distanza tra questi paesi che restano indietro e gli altri dell’area euro è cresciuta.
3. Gli Stati Uniti sono molti diversi dai paesi dell’Unione Europea su due aspetti fondamentali. Primo, se si verifica una recessione in Texas, la gente fa i bagagli e si sposta verso gli Stati con più alto tasso di crescita e occupazione, cioè c’è una maggiore mobilità del lavoro negli Stati Uniti rispetto all’Eurozona. In secondo luogo, il federalismo fiscale (il cambiamento automatico e discrezionale in tasse, spesa e trasferimenti) implica che una caduta di un dollaro nel prodotto di stato Usa nel corso di una recessione regionale porti a una riduzione di soli 60 centesimi nel suo reddito effettivo.
Mentre i primi due appaiono opinioni contrastabili proprio perché il centro studi della Bce ha dimostrato con il tempo che la deviazione standard dei tassi di crescita dei paesi dell’Area-Euro, considerate nelle operazioni distribuite come variabili normali standard (cioè con lo stesso peso, facendo decadere l’ipotesi del punto 2), si attesta su una dispersione pari a quella prodotta nei calcoli degli Stati Uniti; il terzo punto che descrive la mobilità del mercato del lavoro può essere definito il vero tallone di Achille nel sistema-Europa.
Giornata piena alla Fed! A distanza di poche ore dall'addio ad Alan Greenspan, che ha retto per quasi 20 anni sotto quattro presidenti americani la politica monetaria degli Stati Uniti, il Fomc ha rialzato per la quattordicesima volta consecutiva i Fed Funds di un quarto di punto, portandoli al 4,50%, il livello piu' alto da aprile 2001. Nel comunicato emesso al termine della riunione, si legge che "altre moderate strette monetarie potrebbero essere necessarie", una frase che ha consentito al biglietto verde di recuperare qualche posizione ma senza eccesso, con gli analisti ancora divisi sulle future strategie della Federal Reserve che sara' ormai guidata da Ben Bernanke, con un mandato di 4 anni rinnovabile. L'euro/dollaro e' rimasto questa mattina sui valori della vigilia, a 1,2157, senza farsi influenzare dal discorso di Bush sullo Stato dell'Unione, nel quale il presidente afferma di voler migliorare la competitivita' degli Stati Uniti e di ridurre del 75% entro il 2025 la dipendenza degli Usa dall'import di petrolio dal Medio Oriente. Stabili anche l'euro/yen, a 142,43 e il dollaro/yen, a 117,13. Attesi oggi gli indici manufatturieri di gennaio in Eurolandia e negli Usa. Descritto come un imperatore da tutta la stampa mondiale, Alan Greenspan può ora dedicarsi alla famiglia, al suo amato sassofono e a riporre nell’album le fotografie di questi anni. Il suo impegno verso la stabilità di prezzi ha portato ad ampi benefici: riducendo notevolmente le incertezze nei mercati, le imprese hanno potuto usare più efficientemente e costantemente le loro risorse in modo da dedicarsi completamente ai bisogni dei clienti e degli investitori. (Tra tutti i commenti quello con maggior significato l'ha scritto Milton Friedman.)
Henry Blodget, analista della Merrill Lynch, famoso negli anni 1999-2000 per la sua euforia verso la New Economy sembra oggi essere diventato uno dei critici più severi nell’analisi del settore tecnologico che un tempo contribuiva lui stesso a gonfiare in Borsa. Tramite il suo sito www.internetoutsider.com ha creato una campagna di avvertimento destinata a tutti quegli investitori propensi ad acquistare azioni di società come Google. Un titolo che al Nasdaq vale più di 120 dollari, pari a 40 volte i suoi ricavi 2005. Nella lista dei sopravalutati c’è anche Apple ma grazie all’annuncio della nuova partnership con Intel resta momentaneamente il meno rischioso tra i titoli tecnologici.
Non si tratta di un calo di produzione o di un ridimensionamento delle fonti di gas combustibile russo. La crisi del Gas che questi giorni metterà in crisi il settore industriale e la società italiana è il frutto di una tensione politica tra Russia e Ucraina che ha avuto inizio tre anni fa per una bolletta non onerata dal governo ucraino. Come in passato è accaduto con il greggio, il problema del gas evidenzia la vulnerabilità del nostro paese e ripropone il dibattito sulla precarietà delle fonti (la Russia ne è un esempio) la scarsa politica di diversificazione delle risorse e la dipendenza energetica. Ancora una volta, come ha fatto spesso questo blog, c’è chi rimpiange e ripropone la strada dell’energia nucleare.
Negli ultimi giorni, più di un pensiero sarà andato al referendum del novembre 1987 che sancì l’abbandono del nucleare da parte dell’Italia. Al di là dei giudizi etici e politici che accompagnarono la campagna referendaria, non c’è dubbio che le risorse energetiche assicurate dal nucleare ora farebbero comodo al Belpaese. Di un’emergenza energetica si parla da tempo, ma ora alla corsa del prezzo del petrolio si è aggiunta anche la carenza di gas. ......
……. Stando ai dati forniti dall’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, solo nei primi tre giorni, la riduzione delle forniture è passata dal 5,4% al 12%. Il ministro per le Attività produttive, Claudio Scajola, ha negato qualunque allarmismo ma non ha potuto esimersi dall’adottare dei provvedimenti straordinari. Oggi, infatti, la fornitura di gas alle aziende con contratti interrompibili verrà ridotta di 5 milioni di metri cubi e presto un decreto metterà sul piatto incentivi per quelle società che decideranno di aderire al risparmio dei consumi.
Enel ed Edison si sono inoltre dette disponibili a bruciare olio combustibile al posto del metano, ma anche questa misura ha un prezzo. In termini monetari, visto che le aziende dovranno essere ricompensate per l’aumento dei costi imposti dalla conversione. Ma anche in termini ambientali, visto che la maggior parte delle risorse di olio combustibile non sono prive di componenti di zolfo, elemento altamente inquinante. Si potrebbe perfino ricorrere a quelle riserve che, per l’alto tenore di zolfo, erano state messe al bando tre anni fa.
Tornando invece ai costi che, da qui a marzo, dovranno essere affrontati per rispondere all’emergenza, una prima stima parla di circa 600 milioni di euro e il timore è che a farne le spese siano i consumatori, attraverso un nuovo rincaro delle bollette. La speranza, invece, è che, imparando da questa emergenza, il problema del fabbisogno energetico italiano, e in particolare dell’eccessiva dipendenza dalle riserve straniere, sia finalmente affrontato con un progetto di ampio respiro. ALAN FRIEDMAN per miaeconomia
Scrivo questo post dando per scontato un corretto comportamento della Russia che in termini economici può oggi usufruire di un vantaggio assoluto nella produzione e distribuzione di gas verso molti paesi europei. Spero che le tensioni diplomatiche che coinvolgono i territori della ex Unione Sovietica non siano un pretesto per speculare sul prezzo della materia prima che sicuramente vedremo crescere in settimana. Di Opec ce n’è solo una.
La tragedia di uno sciopero non annunciato. "La nuova Alitalia che potrebbe rinascere da un fallimento, non rappresenta un dramma. Semmai, è l'incertezza che crea un dramma" sostiene il ministro del Welfare, Roberto Maroni, intervistato da La Repubblica”. Sono belle parole ma l’intento non sembrerebbe quello di chiudere i battenti e le parole del moderatore Berlusconi ce lo confermano: "Non credo sia così facile prendere una decisione di questo genere, c'è l'orgoglio della compagnia di bandiera". Ma sotto quell’orgoglio nazionale si cela un avvertimento diretto all’amministratore delegato Cimoli che ha dimostrato ancora una volta di non aver apportato nell’azienda una cultura aziendale tale da coinvolgere i propri dipendenti; principale leva per uscire dalla crisi (considerando che lo Stato sgancia i soldi).
Per definizione uno dei principali ruoli del presidente di una banca centrale è quello di captare prima di tutti eventuali pericoli, non per intervenire tempestivamente, si sa gli economisti sono in gran parte degli osservatori, ma per poter giustificare in modo esaustivo l’origine e l’evoluzione del problema successivamente al suo verificarsi. In un era dove l’informazione ha cambiato le regole di trasparenza delle Banche Centrali ed è ancora l’antagonista del “Governatore Pragmatico”, il presidente della Bank of England, Mervyn King, parla dei rischi legati ad un aumento di tassi d’interesse e delle possibili conseguenze di lungo periodo. Vale la pena seguirlo.
Per la prima volta dopo l’attacco terroristico di New York alle Torri Gemelle si è assistito ad una inversione della curva dei tassi di interesse in America ossia i buoni del Tesoro a breve termine hanno registrato rendimenti superiori a quelli di lunga. Questo ha subito suscitato a Wall Street clima di timore di una frenata dell'economia americana e gli investitori hanno incitato ad una ritirata. I nervi del mercato nonostante ci sia stato un interessante aumento dell'8.7% dei consumi natalizi sono stati messi a dura prova dall'inversione nella curva dei rendimenti obbligazionari che, in passato, ha spesso preceduto delle battute d'arresto nella crescita e addirittura di recessioni. Certo è ancora troppo presto per parlare di una vera e propria inversione, ma di sicuro quello che è successo in questi giorni rappresenta un primo campanello d’allarme in riferimento al rischio che tale scenario possa verificarsi in maniera più sensibile nei prossimi mesi. Nell’economia classica un calo dei rendimenti a lunga sotto quelli a breve,infatti, può anticipare discese nei tassi di interesse in risposta ad una futura fragilità nell'espansione. Questo a ragion di logica si rifletterebbe in maniera negativa anche sui mercati azionari che hanno sempre scontato in maniera negativa il verificarsi di un simile evento aprendo la strada a lunghi e spesso pesanti ribassi. Oggi la situazione sembrerebbe in qualche modo diversa e in merito alla questione si è aperto un vero e proprio dibattito sul reale significato da attribuire al superamento dei rendimenti dei tassi a breve scadenza, rispetto a quelli a lunga. Le prime parole tranquillizzanti le aveva spese ancora lo scorso novembre lo stesso presidente della Federal Riserve, Alan Greenspan, il quale aveva invitato a non sopravvalutare il significato di un eventuale inversione nei rendimenti sostenendo che l’inversione della curva ha perso il suo carattere anticipatore di una variazione del ciclo economico, data la nuova e diversa complessità dei mercati. Sono rimasti ormai in pochi a credere che questa disparità di rendimenti tra i tassi a breve e a lunga possa rappresentare davvero un pericolo per i mercati azionari e per l’economia in generale, dal momento che la maggior parte degli analisti ritiene che l’appiattimento della curva sia da ricondurre solo una dimostrazione degli acquisti di titoli di Stato a stelle e strisce da parte delle diverse Banche centrali. Da questa interpretazione scaturirebbe anche la presenza di un’ampia liquidità presente sui mercati che, stando a quanto verificatosi negli ultimi mesi, dovrebbe ulteriormente favorire la crescita dei listini azionari, destinatari di buona parte di questi capitali. Certamente tutto questo può non essere sufficiente a dissipare gli interrogativi e i dubbi sullo stato di salute dell'espansione. Temi come inflazione, costi energetici, evoluzione del mercato immobiliare e i cambiamenti ai vertici della Federal Reserve continuano a preoccupare e non poco gli investitori.
Apprese le intenzioni di politica monetaria della Bce, l’alternativa tra mutuo fisso e variabile comporta una presa di responsabilità da parte degli acquirenti di case. La responsabilità è quella di maturare una posizione personale sull’andamento atteso dei tassi. Vista la durata pluridecennale dei mutui, la scelta presenta in ogni caso una certa dose di “scommessa” su quanto potrà accadere nel futuro. Nel recente passato chi ha preferito il variabile ha potuto sfruttare una situazione di tassi prima in calo e poi ai minimi storici. Adesso però la situazione è destinata a mutare ed ecco che entra in gioco i fattori macroeconomici, ossia le ipotesi sull’evoluzione futura del ciclo, dai quali dipende l’andamento dei tassi delle banche centrali e di quelli applicati dagli istituti di credito ai clienti. La scommessa si basa sul futuro economico Europeo. Gli analisti più pessimisti pensano che il passo dell’economia del Vecchio Continente sia così incerto che la fase rialzista del costo del denaro si invertirà prima di aver raggiunto il 3,5% il tasso ritenuto neutrale per la politica monetaria europea. Se ciò si verificasse, fino a questi livelli il mutuo a tasso variabile conserverà margini di convenienza nei confronti di quello a tasso fisso visto, visto che la differenza fra i tassi applicati dalle banche ai due prodotti supera in genere il punto percentuale. Ma la scelta di un mutuo si sviluppa lungo un arco temporale decisamente più esteso e alla fine la scelta di fondo finisce per dipendere soprattutto dalla propensione al rischio di ciascuno: chi sceglie il tasso fisso lo fa perché vuole sentirsi le spalle coperte e preferisce avere una rata costante per tutta la durata, senza sorprese. Bisogna considerare inoltre che uno scenario di ripresa economica nel nostro continente non è affatto improbabile, anzi, la maggior parte degli economisti sostengono che il 2006 sia l’anno dell’Europa, soprattutto l’anno di quei paesi che hanno avuto nel 2005 margini di crescita inferiori alla media come Italia, Francia e Germania. Molto probabilmente assisteremo ad una ripresa significativa nei prossimi sei mesi con contrastate probabilità di prolungare il trend ascendente. Ma se ciò si verificasse la Bce non esiterà ha utilizzare il saggio di interesse come strumento per placare il pericolo inflativo nel mercato immobiliare. Questa ipotesi calzerebbe di meno hai possessori di mutui a tasso variabile.
Per "riportare serenità" nel Paese il Governatore di Bankitalia ha deciso di chiudere da sè la porta di via dei Serpenti. Sgombera quindi la scrivania più importante a pochi giorni dall'arresto di Gianpiero Fiorani e a un giorno del CdM convocato per risolvere il malaffare bancario. Ma non c'è tempo da perdere: Governo e opposizione sono già d'accordo che bisogna subito trovare il successore entro la settimana. Scandali finanziari e dirigenti onnipotenti e liberi da ogni controllo ripropongono i soliti dubbi sulla solidità del sistema e introducono nuovi valori in materia finanziaria.
"Recenti infrazioni sui mercati finanziari mettono in luce il fatto che non si riesce a insistere abbastanza sull’importanza della reputazione in un’economia di mercato. Certo, un’economia di mercato richiede una struttura di regole formali – per esempio una legge sui contratti, regole per la bancarotta, un codice dei diritti degli azionisti. Ma le regole non possono sostituirsi al retto carattere. In tutte le transazioni, siano esse con clienti o con colleghi, ci affidiamo alla parola data dalle nostre controparti. Se così non fosse, beni e servizi non potrebbero venire scambiati in modo efficiente. Anche quando seguite alla lettera, le regole possono guidare sole alcune delle decisioni richieste ogni giorno a manager di imprese e banche. Le altre scelte sono governate da quello che è, o non è, il codice personale di valori che quei manager portano al tavolo della trattativa. Gli affari diventano difficili se non c’è fiducia nelle informazioni fornite dalla controparte. E per ogni economia sofisticata è connaturato potersi fidare della parola di uno straniero. Per una effettiva governance è cruciale potersi valere della buona reputazione che accompagna chi compie scelte giudiziose e giuste al vertice di un’impresa o di una banca. Ed ancora più importante è come la società è vista dall’esterno. La reputazione di una società ha un eccezionale valore di mercato che, in linea di principio, è capitalizzato a bilancio come valore di avviamento. Reputazione e fiducia erano punti di forza stimati già nella stagione dell’avventuroso capitalismo ottocentesco americano. Nell’ultimo mezzo secolo, il pubblico americano ha fatto proprie le protezioni delle molte agenzie federali che hanno ampiamente sostituito le garanzie finanziarie del Governo e comportano certificazioni ufficiali della buona reputazione in affari. Probabilmente siamo meglio protetti e, quindi, stiamo meglio, grazie a queste forme ufficiali di tutela. Ma gli scandali societari recenti hanno chiaramente indicato come la pletora di leggi del secolo scorso non abbia eliminato gli aspetti meno simpatici del comportamento umano. Non dovremmo sorprenderci quindi se la reputazione personale torna ad assumere nel mondo del business un grande valore di mercato." Alan Greenspan, 16 aprile 2004.
Quattro anni più tardi, dopo la stagione dei grandi scandali finanziari americani, aperta nel 2001 dalla bancarotta Enron, Alan Greenspan ha voluto sottolineare e dirigere l’attenzione dei mercati su un nuovo modo di valutare il business, facendo suoi i cinque precetti guida, sull’economia pubblica e privata, sul quale insisteva Joseph Striglitz, premio Nobel 2001: onestà, equilibrio, giustizia sociale, informazione, responsabilità. Le parole del presidente della Fed possono benissimo essere riproposte quest’oggi alla luce degli ultimi avvenimenti italiani. Esse inoltre devono essere un mezzo per introdurre in Europa il dibattito sulla responsabilità dell’impresa e sulla razionalità dei soggetti che operano nei mercati.
Come ampiamente scontato oramai anche da i non addetti ai lavori la Federal Reserve ha ritoccato al rialzo, per la tredicesima volta consecutiva, i tassi d' interesse dello 0,25% portandoli così al 4.25%. L'unica nota diversa di questo incontro rispetto a tutti gli altri è stata la precisazione del fatto che l' attuale livello del costo del denaro negli Usa non è più "accomodative", cioé tale da favorire una politica espansiva. Il termine "accomodative", sempre utilizzato per accompagnare la stretta monetaria, sparisce dal tradizionale comunicato finale al termine del board. Questa omissione è stata più che sufficiente per alimentare i mercati azionari, con gli indici di Borsa in accelerazione, e delle valute, con il dollaro in calo verso l' euro. A questo punto l'attenzione è tutta rivolta ad un orizzonte temporale più ampio in vista quindi che termini la lunga saga del rialzo dei tassi, iniziata a giugno del 2004 e non ancora interrotta. In ogni caso il Fomc non ha tralasciato di sottolineare che potrebbero ancora esserci delle ulteriori e contenute strette che si renderebbero necessarie per conservare in equilibrio la crescita economica sostenibile (con particolare riguardo al settore occupazionale) e la stabilità dei prezzi ossia i punti chiave su cui ha poggiato fino a questo momento la politica monetaria della Fed. Nel comunicato finale, tuttavia, i banchieri centrali hanno evidenziato che nonostante gli elevati prezzi energetici e l' impatto degli uragani, l'espansione dell' attività economica appare risulta su posizioni solide. Se da un lato l' inflazione 'core', quella al netto delle componenti petrolio e alimentari è rimasta relativamente contenuta, dall' altro le aspettative di inflazione di lungo periodo "restano moderate". La riunione del board della Fed è stata l' ultima del 2005, nonché la penultima per il presidente Alan Greenspan, che passerà il testimone a Ben Bernanke dopo il Fomc del 31 gennaio 2006. La stretta di mercoledì riporta il differenziale con l' Eurozona al 2% e allunga la serie rialzista superando in durata quella registrata nel periodo 1994-95. Come già scritto in questo intervento potrebbe comunque aversi ulteriori aggiustamenti fino ad un livello che secondo l'opinione più diffusa potrebbe attestarsi al 4,5-4,75%. La possibilità che la manovra della Fed sia l'ultima o al massimo la penultima ha infiammato la moneta europea che come la fenice è rinata dalle ceneri allontanandosi dall'area di minimi a 1.1640/1.1600. A favorire ulteriormente il recupero dell'euro è stata anche la notizia che la Banca centrale russa ha aumentato ancora la quota di moneta europea nel suo paniere. L'ultimo aggiustamento risaliva ad agosto. Il tentativo della Banca centrale russa è di fare in modo che il paniere rifletta i flussi commerciali e di stabilizzare il rublo verso le due principali monete di scambio. La zona euro è una controparte importante del Paese grazie soprattutto alla fornitura di materie prime. In questo frangente la vendita di petrolio in un momento di prezzi elevati sta consentendo alla Banca centrale russa di aumentare le proprie riserve valutarie. Il dollaro continua ad avere un peso dominante nell'economia russa ma il ruolo dell'euro sta crescendo. La decisione della Banca centrale russa di modificare il proprio paniere si giustifica anche per la presenza di un sempre maggior numero di banche europee in Russia. La partecipazione degli istituti di credito stranieri nel capitale delle banche è passata nel 2005 dal 6.2% all'11% di novembre.
Lo shock creato dai significativi più alti prezzi del petrolio e la dislocazione causata dagli uragani hanno temporaneamente ridotto la domanda statunitense di prodotti petroliferi. I volumi a gennaio a novembre 2005 si sono progressivamente ridotti nel corso dell'anno. Inoltre il rialzo provocato dalla dislocazione sembra pesare con un certo ritardo sulla crescita del prodotto interno lordo. Inoltre le condizioni eccezionali di tempo temperato in questo inverno sia negli Usa e in Europa hanno ridotto la domanda per gasolio da riscaldamento, gas naturale ed energia elettrica. In ottobre, per esempio, la temperatura negli stati uniti è scesa di 15 gradi sotto la norma. Questi fattori temporanei combinati con la persistente moderazione delle importazioni della Cina finora, in rialzo del 3% da gennaio da ottobre, confrontato con la media del 2005, stanno incrementando un chiaro risultato: la domanda di petrolio è decisamente più bassa di quanto stimato in precedenza. Va considerato che l'International Energy Agency, la quale ha sempre sottostimato la domanda in passato, ha da poco rivisto la ribasso le stime per il quarto trimestre. Da una prospettiva di lungo termine, il rialzo dei prezzi petroliferi dal 2000 può comportare dei comportamenti di conservazione dell'energia, come negli Usa dove l'utilizzo di energia rispetto al Pil reale è scesa dell'8% tra il 2000 e il 2004. Se guardiamo dal lato dell'offerta, un'incompleta ripresa degli impianti nel Golfo del Messico di impianti produttivi e raffinerie, produzione e trasformazione di gas hanno lasciato i mercati statunitensi vulnerabili a nuovi shocks. Basta un inverno più freddo del previsto per creare uno strappo al rialzo dei prezzi energetici e conseguentemente un notevole incremento nelle bollette dei consumatori. A ben guardare con i prezzi del gasolio più alti del 20% rispetto all'anno scorso e i valori del gas naturale che hanno raddoppiato, i consumatori statunitensi rischiano di pagare dai 30 ai 35 miliardi dollari in più rispetto a quelli sborsati nel 2004. Ma il caldo inverno di Novembre ha permesso ai produttori di creare delle scorte più consistenti rispetto alla media, fornendo un margine per calmierare l'eventuale eccesso di richiesta nel momento in cui il freddo si farà pungente. Ma sono previsti ancora settimane di temperature calde e superiori alla media negli stati uniti,scongiurando per il momento bollette più care. Il mercato dei future stanno prezzando un lieve incremento dei prezzi petroliferi per metà del 2006, prima di anticipare una moderata flessione. Questa forma inusuale della curva dei prezzi dei futures, sembra dipendere dai magazzini di scorte. Per mancanza di capacità di immagazinaggio, sia in Europa che in Usa il valore marginale dei prodotti raffinati oggigiorno è basso: ossia risulta senza valore raffinare oltre certi livelli se non vi è possibilità di immagazzinarlo. E i prodotti di raffineria tendono alla piena capacità tendono a guidare il mercato "crude". E in questo momento l'industria di raffineria è in piena capacità. Mentre la crescita del Pil mondiale rimarrà robusta per il prossimo anno altrettanto forte rimarrà la domanda di prodotti raffinati e non. Solamente nel 2007 le tensioni attuali per eccesso di domanda si attenueranno. Ma nel breve termine le condizioni del tempo nelle aree economiche più importanti, Usa, Europa e Giappone, sono i fattori di rischi determinanti di rialzo dei prezzi. Nel medio termine il fattore chiave è il tasso di crescita mondiale e il suo impatto sulla domanda di prodotti petroliferi. Inoltre poichè non si è ancora preso provvedimenti per incrementare significativamente la capacità produttiva delle raffinerie, una domanda più consistente, soprattutto proveniente dalla Cina, o una offerta limitata può ancora spingere verso 70/80 dollari al barile il prezzi del greggio.
La Bce dopo cinque ha aumentato il costo del denaro di 25 bp, ora al 2,25%. La decisione, ampiamente scontata dal mercato, non sembra tuttavia preludere a nuove mosse restrittive. Lo stesso Jean-Claude Trichet in conferenza stampa, ha spiegato che per le prossime mosse la BCE attenderà di vedere "quali saranno le nuove informazioni e i nuovi dati" che contribuiranno a definire il quadro macroeconomico e l'evoluzione dei prezzi. Commentando la decisione, Trichet ha poi specificato che la politica monetaria "resta accomodante e continua a supportare la ripresa economica e la creazione di posti di lavoro". Al centro dell’attenzione della Bce resta dunque l’inflazione. A causa dell’andamento dei prezzi petroliferi, Trichet ha messo in evidenza come lo scenario "resta soggetto a rischi al rialzo". Il numero uno di Francoforte ha quindi alzato le stime di crescita e inflazione per il periodo 2005-2007. Nelle sue proiezioni il PIl di Eurolandia segnerà un progresso dell'1,4% (1,2-1,6%) nel 2005 e dell'1,9% (1,4%-2,4%) per il 2006. Per quanto riguarda l'inflazione la Bce ha alzato la stima al 2,1% (1,4%-2,4%) per il 2005 e tra l'1,4% e il 2,6% per il 2006. Anche l' Ocse nel suo Economic Outlook relativo al mese di novembre ha fatto sapere di ritenere, allo stato attuale, "plausibile" uno scenario caratterizzato da una "prolungata fase di espansione" dell' economia mondiale, che, finalmente, coinvolgerà anche la "convalescente" Europa. Contemporaneamente, peraltro, pur considerando che quella delineata è la prospettiva di fondo, l' Ocse mette in guardia da potenziali rischi che potrebbero condizionare le ripresa. Fra questi, il rialzo del prezzo del petrolio, il peggioramento degli squilibri delle bilance correnti, riallineamenti bruschi nei tassi di cambio ed una crescita dei tassi d' interesse a lungo periodo. L' organizzazione di Parigi ha quindi rivisto in leggero rialzo le stime di crescita mondiale per quest' anno e per il 2006 rispettivamente a +2,7% e +2,9%, lo 0,1% in più rispetto alle previsioni precedenti. Una revisione al rialzo ha interessato anche la crescita della zona euro nel 2005 dall'1,3% indicato a settembre all'1,4%. Nel 2006 la crescita dovrebbe essere del 2,1% e nel 2007 del 2,2%. Secondo quanto contenuto nel rapporto l'attività economica, dopo la pausa a cui abbiamo assistito agli inizi di questo anno, ha via via ripreso convinzione e le attese sono per un prosieguo, anche se moderato, anche per i prossimi due anni. Secondo l'opinione dell'Organizzazione il fattore trainante saranno soprattutto le esportazioni mentre si prevede un deciso aumento dei consumi privati anche se, ancora per il prossimo anno resteranno frenati in quanto risentiranno ancora dell'effetto caro greggio. Sul fronte della politica monetaria secondo l'Ocse il miglioramento stimato dall'outlook non sarà tale da giustificare un ulteriore rialzo dei tassi di interesse. Per l’Ocse per l'Europa, alla luce dei ritardi con cui finora si è manifestata la ripresa, avrebbe dovuto addirittura attendere qualche altro trimestre prima di aumentare i tassi di riferimento. Il timing auspicabile per l'OCSE doveva essere l'autunno del prossimo anno da cui avrebbe dovuto prendere avvio un graduale incremento fino a un totale di 125 bp. Per gli Stati Uniti, invece, dove la produzione è vicina al potenziale e l'inflazione è prevista in aumento, le autorità dovrebbero continuare ad aumentare i tassi. Per quanto riguarda i conti pubblici, l’Ocse sollecita i governi europei ad approfittare del momento attuale per procedere verso il varo di riforme economiche , oltre ad iniziare seriamente a mettere mano al riassetto delle finanze pubbliche, dando priorità ai tagli di spesa piuttosto che all' aumento della tassazione. Intanto secondo il recente rapporto di Eurostat nel Vecchio Continente sta accelerando la ripresa economica mentre frena l'inflazione. Sia nell'eurozona che nella Ue il Pil nel III° trimestre 2005 è aumentato dello 0,6% (+0,4% nel secondo trimestre). Rispetto al III° trimestre 2004 il Pil è cresciuto dell'1,6% nell'eurozona e dell'1,7% nella Ue dopo rispettivamente 1,2% e 1,4% nel trimestre precedente. Seppure in miglioramento, la performance economica europea resta ancora lontana dal 2,9% del Giappone e dal 3,6% degli Stati Uniti.
E' forse Rafa l'idraulico polacco che invaderà il mercato del lavoro occidentale grazie alla direttiva servizi, meglio nota come direttiva Bolkestein? Probabilmente il giovane disoccupato che abbiamo incontrato nella città di Lodz non lascerà mai la propria terra, ma la leggenda dell'idraulico polacco ha fatto rapidamente il giro d'Europa, scatenando un'ondata di reazioni contrarie e affondando -insieme ad altri temi controversi- persino il referendum francese sulla Costituzione Europea. Ma cosa si intende per "direttiva sulla liberalizzazione dei servizi"? Un dato -da solo- spiega l'importanza della normativa, attualmente in discussione all'Europarlamento: la direttiva copre un mercato che rappresenta il 50% dell'attività economica europea e il 70% del Pil prodotto nell'Unione. L'idea di fondo è favorire una maggiore concorrenza tra le imprese comunitarie, eliminando le troppe barriere nazionali che ancora impediscono a un prestatore di servizi di operare liberamente in un altro Stato membro, il tutto nell'ottica di un mercato unico e integrato. La proposta originale presentata da Frits Bolkenstein copre una miriade di settori: dalle consulenze legali e fiscali alle imprese di costruzione, dalle agenzie di lavoro interinale alle cure sanitarie, ma esclude trasporti, servizi finanziari e servizi come l'istruzione. I vantaggi di questa direttiva sono evidenti: maggiori operatori = più libertà di scelta e tariffe più basse per i consumatori. Gli svantaggi hanno un altrettanto evidente risvolto sociale: nel mirino c'è il principio del cosidetto "Paese d'origine", in base al quale un'impresa di servizi può operare in un altro Stato obbedendo solo ai requisiti amministrativi e giuridici in vigore nel proprio Paese. Le disparità presenti sui mercati del lavoro, a livello salariale e livello fiscale nell'Europa a 25 fanno ipotizzare -ai più scettici- scenari di dumping sociale o delocalizzazione, con rischi occupazionali per i lavoratori occidentali. Per questo le forze di centrosinistra all'Europarlamento chiedono una definizione più precisa dei servizi coperti dalla direttiva, escludendo quelli di interesse pubblico, e propongono che sia lo Stato in cui viene prestato il servizio a dettare le regole nei confronti delle imprese o dei professionisti stranieri.
Certo, la razionalità e il comportamento sociale rientrano a far parte di quei fattori analizzati dalla politica economica. “La volontà del popolo” a cui si ispira Downs (1957) riflette pienamente la funzione del benessere sociale, che sembrerebbe oggi bocciare la liberalizzazione dei servizi. Resta solo da chiedersi se questo popolo abbia le capacità di comprendere e successivamente desiderare le conseguenze della liberalizzazione e delle barriere, o proponga irrazionalmente il proverbio“Chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non quel che trova”,ù diffondendo timori irreali. Eppure si tratta solo di replicare la liberalizzazione delle merci avvenuta con la nascita del mercato comune europeo. L’Unione Europea attraverso l’abolizione delle barriere doganali, con la nascita dei principi di libertà di fornitura e quelli di libertà di stabilimento, ha dato in questi ultimi 40 anni un grande impulso alle sue imprese e più potere di acquisto ai consumatori.
L’hanno ribattezzata come una generazione a libertà vigilata con pochi vincoli ma che per scelta o necessità rinvia il più possibile la scelta definitiva del lavoro e il distacco dalla famiglia. Ai trentenni dedica un’attenzione particolare anche l’ultimo rapporto dell’Isfol che si concentra sui nativi del 1974. Ne emerge che se in tre su quattro hanno un impiego, due su cinque continuano comunque a vivere in famiglia. Spesso si tratta di una scelta obbligata o quasi visto che in un caso su due il reddito mensile rimane al disotto dei 1000 euro e quasi mai supera i 1500, ha guadare di più è infatti solamente un trentunenne ogni dieci. La Laurea specie se è scientifica rimane una carta vincente per l’accesso al mondo del lavoro ma non una garanzia di posto fisso, sono infatti i diplomati ad avere la più alta percentuale di rapporti a tempo indeterminato. L’Isfol registra anche un aumento della presenza femminile nel mondo del lavoro, tuttavia la quota di partecipazione femminile si ferma ancora al 50,6% il livello più basso in Europa e in un caso ogni otto la maternità si traduce in nell’abbandono del posto di lavoro anche a causa della latitanza dei servizi pubblici. Quanto alle tendenze più generali del nostro mercato del lavoro lo scorso anno l’Isfol ha registrato un incremento dell’occupazione dello 0,8% vale a dire più che nel resto d’Europa anche se la percentuale di chi lavora sul totale della popolazione rimane tra le più basse del vecchio continente. Quanto alle nuove forme contrattuali prosegue la diffusione del part-time che ormai interessa il 13% di tutti gli occupati. Crescono se pur più lentamente anche i contratti a termine e se diminuisce la quota di chi alla fine del rapporto si trova disoccupato aumenta anche il numero di chi rimane a lungo nella situazione di occupazione temporanea. In lieve crescita infine anche la quota dei contratti a termine che si trasformano in posto fisso, un passaggio che avviene nel 40% dei casi.
L’Italia ha segnato lo scorso anno uno 0,8% di crescita occupazionale rispetto allo 0,5% della media europea e ha anche registrato un significativa flessione della disoccupazione femminile proprio nel meridione con un -2%. Va sottolineato che si registrano al tempo delle criticità: rallenta il tasso di disoccupazione dopo la crescita degli ultimi anni, le tipologie lavorative a termine sono diminuite rispetto all’anno precedente pur continuando ad interessare di più donne e giovani. Continua indisturbata la diffusione del part-time. Negli ultimi dieci anni è raddoppiato il numero dei lavoratori che utilizza questa tipologia contrattuale. Un discorso a parte credo meriti il tema della partecipazione femminile al lavoro. Il problema della maternità e della carenza di struttura pubbliche di appoggio sociale rimangono un problema che va oltre questo ambito. Le riforme varate negli ultimi anni, mi riferisco alla legge Biagi e ancora di più per quella dell’istruzione, hanno oggettivamente modificato il sistema del lavoro e della formazione. E’ ancora molto presto per cogliere a pieno la loro efficacia.
Migrazione nelle prospettive economiche globali del 2006
I migranti possono fare una differenza. Lo sostiene François Bourguignon, capo economista della banca mondiale. Possono generare notevoli flussi di cassa per loro e la propria famiglie, così come contribuiscono ad equidistibuire a livello globale la forza lavoro e la ricchezza tra i loro paesi di destinazione e di origine:
"With the number of migrants worldwide now reaching almost 200 million, their productivity and earnings are a powerful force for poverty reduction. Remittances, in particular, are an important way out of extreme poverty for a large number of people. The challenge facing policymakers is to fully achieve the potential economic benefits of migration, while managing the associated social and political implications."
Le sue opinioni hanno di certo influenzato la stesura della recente pubblicazione della Banca Mondiale: Global economic prospects 2006: Economic implications of remittances and migration. Le relazione ci notizia di un fatto interessante che riguarda la distribuzione agli inizi dell’anno di un fondo destinato a costituire politiche di integrazione:
Officially recorded remittances worldwide exceeded $232 billion in 2005, with India receiving almost 10% of the amount ($21.7 billion).China came second with $21.3 billion, followed by Mexico ($18.1 billion), France ($12.7 billion), and the Philippines ($11.6 billion).
La Francia, ormai da definirsi stato parassita, in seguito alle sue recenti posizioni protezionistiche, sia in materia agraria e sia in politica migratoria, sembrerebbe aver avuto accesso a 12,7 milioni di dollari da destinare alla creazione di apparati e politiche integrative verso la migrazione. Gli ultimi eventi accaduti a Parigi, che non possono di certo essere attribuiti solo ed esclusivamente a manifestazioni di minoranze etniche, fanno ben capire dove sono finiti quei fondi.
Mentre il mercato petrolifero sembra aver riassorbito completamente le tensioni speculative di agosto ora ad allarmare i mercati ci hanno pensato altre due commodities. In questa settimana sia l’oro che il rame hanno raggiunto quotazioni di massimo relativo perfettamente in grado di creare al livello inflazionistico gli stessi grattacapi di un greggio quotato sopra i 60$ al barile.
L’oro che registra 487,8$ all’oncia (31,1g), un +56% nel terzo trimestre dell’anno, non sorprende gli analisti che lo davano gli da qualche mese a 500$ per la fine dell’anno. Il metallo prezioso da sempre considerato un investimento rifugio, in questo caso chi lo acquista vuole proteggersi da un rischio di inflazione, ha beneficiato della rivalutazione del doloro con il quale ultimamente ha un rapporto storicamente insolito di perfetta correlazione. Per quanto il prezzo dell’oro possa mai salire non avrà mai le conseguenze di un elevato grado inflativo nel mercato degli altri metalli, quelli un po’ meno di lusso che costituiscono un elemento essenziale per i costi produttivi industriali.
Il mercato del rame è da tempo rovente con quotazioni volate alle stelle negli ultimi due anni è cresciuto del 35,5% solo negli ultimi 10 mesi fino a 4.200$ a tonnellata. E se le alte temperature scaturiscono gli appetiti degli speculatori diventa anche facile scottarsi. E’ quello che sta accadendo a Liu Qibing, funzionario dell’apparato statale cinese che a pechino però ricopre il ruolo chiave di responsabile delle materie prime. Convinto che i prezzi del rame sarebbero presto scesi quest’estate ha venduto allo scoperto, ossia senza esserne ancora in possesso, contratti con consegna fine 2005 di 150-200 milioni di tonnellate di rame al prezzo di 3.500$ a tonnellata. Se le quotazioni fossero scese, il governo cinese avrebbe incassato la differenza tra i 3.500$ di vendite allo scoperto e il prezzo reale più basso. Le cose sono però andate in maniera completamente opposta alle volontà di Qibing, che contava sull’effetto restrittivo dei tassi d’interesse Usa, visto che i prezzi del rame sono volati oltre i 4.000$. Il Governo cinese a ora l’impegno di consegnare fino a 200 milioni di tonnellate di rame a 350.000 $ e allo stato attuale vorrebbe dire perdere 200 milioni di dollari. Pechino sta così cercando di ricorrere ai ripari tentando di raffreddare le quotazioni con vendite pilotate e annunciando già di avere a disposizione grandi quantità di rame. Il Governo, inoltre sta cercando di prendere le distanze dal suo funzionario ed è arrivato a minacciare di non onorare i contratti. Alla borsa dei metalli di Londra dove viene trattato il rame è così ritornato ad aleggiare lo spettro del colosso nipponico Sumitomo che nel 1996 coinvolto a sua volta in speculazioni sul rame alla fine non onorò i contratti per 2,6 miliardi di dollari.
Per i produttori di materie prime l’hedging dinamico è uno strumento abbastanza familiare per cercare di diminuire i costi di approvvigionamento, ma come dimostra una serie storica ricchi di eventi simili alla Sumitomo si tratta di strumenti o meglio posizioni finanziarie di difficile valutazione. Oltre ai soliti problemi di stima probabilistica, le previsioni sulle commodities ad differenza di altri strumenti finanziari non possono poggiarsi su un tipo di analisi fondamentale e ne in parte su una di analisi intermarket.
La riunione del Fomc di inizio mese non ha apportato solo un nuovo rialzo dei fed funds (ora al 4%) ma è stata determinante per disegnare le prospettive della politica monetaria americana. Le parole di Greenspan confermano la necessità di mantenere sotto controllo le aspettative e le pressioni inflazionistiche, in uno scenario congiunturale tutto sommato favorevole di crescita. Il presidente ribadisce la solidità della crescita diffidando però della curva dei rendimenti come unità di misura per attestarla. “L’inflazione, sottolinea per la prima volta, beneficia dell’effetto globalizzazione che ha contribuito a mantenere la stabilità anche in presenza di shock e di una crescita mondiale sostenuta. Le forze globali possono persistere per qualche tempo ma il suo trend futuro dovrà essere controllato attentamente.”
La lettura del comunicato del 1° novembre segnala un testo particolarmente misurato, con il minimo riferimento possibile alla valutazione dello scenario economico. L’impressione che si ricava da questa novità è che l’avvicinarsi del livello neutrale dei tassi suggerisca un clima di cautela nell’esposizione di un quadro di medio termine. La precarietà delle variabili economiche e l’effetto di una politica all’insegna della trasparenza può portare una inadeguata serie di dati in uscita che potrebbero indurre gli operatori ad una errata interpretazione del comportamento della politica monetaria. Come ha detto un mese fa William Poole, presidente della Fed of St. Louis, la politica monetaria si trova ora di fronte a un rischio asimmetrico. Le aspettative non si invertono velocemente: “investire aspettative di inflazione può essere questione di un paio d’anni. (…) D’altra parte, se dovessimo finire con un aumento eccessivo dell’obiettivo sui fed funds verso l’alto, la Fed potrebbe ridare vigore alla crescita in modo rapido con un’inversione di politica monetaria.” Sulla Fed pesa chiaramente l’esperienza dei decenni passati, in cui il radicarsi di aspettative inflazionistiche furono seguite da drastiche correzioni dell’attività economica rese necessarie da periodi di restrizione monetaria.
Dai dati economici degli ultimi mesi e dai discorsi di Greenspan si trapela “il rischio che i tassi non possano fermarsi nella parte centrale dell’intervallo di stima della neutralità”. Secondo la Fed of San Francisco, Estimating the “Neutral” Real Interest Rate in Real Time, le stime del tasso neutrale reale variano all’interno di un intervallo compreso fra il 2 e il 4%. Prendendo in considerazione questi ultimi numeri e rapportandoli al tasso nominale sui fed fund e ad un'inflazione approssimata al 2%, l’istituto di San Francisco arriva a indicare per i primi mesi del 2005 un tasso neutrale di circa il 4,25%.
Il 4,25% può essere oggi indicativo ma i risultati e le previsioni degli ultimi nove mesi dimostrano che l’economia americana continua a crescere a un tasso superiore al potenziale, con il mercato del lavoro in equilibrio nonostante gli effetti degli uragani di agosto. Tutto ciò ci suggerisce la necessità di ricorreggere al rialzo le prospettive di restrizione che potrebbero corrispondere a livelli di tassi d'interesse superiori al 4,5%.
Nonostante il tumulto politico dei mesi precedenti, gli ultimi dati economici che sono pervenuti in questi ultimi mesi indicano che l'economia della Germania sta risollevandosi dalla lunga fase di stagnazione, piuttosto velocemente. Si stima che il prodotto interno lordo sia in grado di crescere tra luglio e settembre su base trimestrale dello 0.5%-0.6%. Mentre la ripresa è sostenuta ancora dalle esportazioni, ci sono evidenti segnali di ripresa negli investimenti aziendali mediante spese in macchinari ed equipaggiamento. Ovviamente queste sole due componenti non bastano per affermare che la ripresa dell'economia tedesca poggia su solide basi poiché non si scorge altrettanta vivacità nella spesa al consumo e negli investimenti in costruzioni ma nonostante tutto questo ultimo trimestre dell’anno sembrerebbe essere di buon auspicio per la continuazione di questo momento favorevole per la Germania. L'incremento al di là di ogni previsione dell'indice Ifo per due mesi consecutivi ne è il segno più evidente. Questo forte messaggio di fiducia è stato confermato dal sostenuto trend degli ordini manifatturieri e della produzione industriale che hanno mostrato incrementi del 4.7% e dell'1.2% rispettivamente. L'ammontare principale degli ordini ricevuti, suggerisce che se la domanda di ordini ha iniziato a stabilizzarsi, risultano evidenze di consistenti ordini inevasi. Gli ordini manifatturieri in particolare spiegano che la ripresa attuale è mossa dalle esportazioni se consideriamo che dai livelli di minimo gli ordini esteri hanno guadagnato un 15%, con predominanze di ordini relativi a beni di investimento industriali. Mentre la domanda domestica ha raggiunto solamente un incremento dello 8% dai minimi del 2003. Nonostante un rimbalzo nell'output delle costruzioni da aprile ad oggi la tendenza al ribasso di lungo termine è poco probabile che possa girare proprio ora. La forte domanda estera e le ancor più forti aspettative di export sono riflesse anche sul crescente surplus della bilancia commerciale . Solamente il recente rialzo dei prezzi del greggio ha ridotto il surplus della bilancia commerciale. Nonostante tutto, il surplus commerciale ha beneficiato anche della debolezza dell'euro. Il rischio è che parte di queste esportazioni possano essere finite nelle scorte. Il problema di fondo, per l'economia tedesca è la spesa al consumo che è prevista rimanere debole ancora nel terzo trimestre dell'anno se non addirittura mostrare un declino nel periodo di riferimento. Nonostante un rimbalzo nella fiducia dei consumatori e una continuità nel rialzo dell'occupazione, le vendite al dettaglio, incluse le automobili, sono scese dello 0.9% nel 3°trimestre, lasciando intendere che le rilevazioni del terzo trimestre relative alla spesa al consumo saranno pressoché deboli. Un fattore positivo sembra sopraggiungere dalla inversione di tendenza del tasso di disoccupazione. Naturalmente il processo è stato innescato dalle politiche di Governo in materia di lavoro e occupazione. Tuttavia, le aspettative sulla crescita dell'economia tedesca nella seconda metà dell'anno vanno dall'1.4% all'1.7%, valori annualizzati anche se per l'intero 2005 è molto probabile che il tasso di crescita si fermi ad uno 0.8%-1% annuo, al di sotto della media della zona euro che si aggira sull'1.3%.
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