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Bernanke dopo Greenspan

     Caligs  domenica, ottobre 30, 2005 Permalink 2 comments

Con tre mesi d’anticipo rispetto alla scadenza del mandato prevista per il prossimo 31 gennaio, il Presidente Bush ieri ha nominato Ben Bernanke come successore di Alan Greenspan che si appresta a lasciare la sua poltrona dopo ben 18 anni e un operato indiscutibile.
Bernanke succede a due Presidenti che hanno segnato in modo indelebile la storia economica degli Stati Uniti. L’era di Volcker che va dal 1979 al 1987 è stata etichettata per l’aperta guerra all’inflazione. Quella di Greenspan, Chairman dal 1987, ha portato la Fed verso un altro cambiamento radicale nella gestione della politica monetaria, con una strategia di comunicazione più trasparente, incentrata sulla prevedibilità e sulla credibilità della banca centrale.


Le credenziali di Bernanke sono eccellenti ed equivalenti a quelle dei suoi predecessori. Molti sono pronti a scommettere su di lui.

«Le decisioni della Fed si riflettono sulle vite e sul modo di vivere degli americani. La carica di presidente ispira il profondo rispetto nella comunità finanziaria», ha detto Bush, aggiungendo che Bernanke è «la persona migliore per continuare il lavoro di Greenspan».
Il punto forte del nuovo Chairman è la conoscenza della politica monetaria, prima come accademico e poi come membro del Board of Governors, oltre alle caratteristiche personali: la sua capacità di analisi, quella di leadership e di gestione dei rapporti personali. Beernanke è anche ben conosciuto per la sua ridotta esperienza e capacità in campo politico che è coerente con la sua convinzione di tener separate la disciplina economica da quella politica. La Fed ha bisogno difatti, oltre che di un eccellente economista, anche di un grande comunicatore e di un abile analista di rischi conseguenti alle decisioni di politica monetaria.

La leadership di Bernanke si costruirà nel tempo e dato il tipo è impensabile ipotizzare un mandato discontinuo e divergente con quello della precedente gestione di Greenspan, per due motivi:

- Bernanke attraverso il suo precedente ruolo di capo economista della Casa Bianca ha contribuito ha definire ed apportare cambiamenti all’attuale strategia di politica monetaria.
- Dai suoi precedenti incarichi è chiaro che il neo-governatore caratterizzerà anche questo mandato con l’attuazione operativa della filosofia della comunicazione di cui Greenspan è stato pioniere.

Difficilmente con Bernanke ci sarà maggior tolleranza per l’inflazione. La Fed con un gran sostentore dell’inflation targeting potrebbe passare ad annunciare la propria definizione di stabilità dei prezzi pur senza definirla come un obiettivo vincolante, apportando una significativa trasparenza alla politica monetaria.
“Credo che la politica monetaria USA sarebbe migliore nel lungo termine se la Fed scegliesse di rendere il proprio framework di politica monetaria in qualche modo più trasparente. Soprattutto ora che siamo nel’intervallo generale della stabilità dei prezzi, credo che quantificare quello che il FOMC intende per stabilità dei prezzi fornirebbe delle informazioni utili al pubblico e darebbe una chiarezza aggiuntiva al processo di policy making” (Ben Bernanke 17 ottobre 2003)
Personalmente resta un unico dubbio. La posizione del neo-presidente sui conti pubblici e sull'attuale deficit, nonostante il suo passato da consulente alla Casa Bianca, è restata sempre in una zona d'ombra. Solo il tempo svelerà se Bernanke ha un'inclinazione neo-Keynesiana o monetarista. Wall Street che ha reagito bene alla nomina, resterebbe stupito e felice di vedere Bernanke critico nei confronti del debito pubblico.

Alcune delle principali pubblicazioni di Ben Bernanke:
- Should Central Banks Respond to Movements in Asset Prices?
- Inflation Targeting: A new framework for monetary policy?
-The Global Saving Glut and the U.S. Current Account Deficit
-Deflation: Making Sure "It" Doesn't Happen Here

 

European business failures

     Caligs  mercoledì, ottobre 26, 2005 Permalink 0 comments

Il centro di ricerca Maastricht accounting, auditing e information management presenta i risultati di un progetto di ricerca sui Business Failures in Europa. Lo studio è basato su un'analisi di 60 casi di grandi aziende pubbliche degli stati membri dell'Eu sulla base di una struttura sviluppata da Argenti nel 1976. La logica usata da Argenti nel dividere i business failures in quattro categorie ha portato oggi in questa letteratura un metodo capace di analizzare e prevedere il verificarsi di questi fenomeni. Questa procedura di classificazione rapportato con lo scenario e i dati europei ha determinato il seguente schema:

1 Business failures in Europe relate to various categories of business failures. Business failures in Europe relate to various categories of business failures. This result indicates that the characteristics of business failures are diverse and there is not a single dominant cause (such as fraud) of European business failures in general. Although it is true that a relatively large number of cases are related to fraudulent or unethical behaviour by company managers or employees, for over 60% of the business failures included in our sample the main cause of the business failure was not related to fraud.

2. For only a very limited number of business failures the failure cannot be attributed in any way to particular individuals or parties. The business failures that are classified in category 1, 2 and 3 (except for the cases mentioned under point 2) are all related to problems of an economic nature in one way or another and to a certain extent are related to the common risks of entrepreneurship. For category 1 companies, these problems mostly lay in the relatively weak long term economic prospects of the company. For category 2 the cause of business failure is usually related to tactical or strategic management decisions. For category 3 companies, external economic problems are the basic cause of business failure. All these cases, therefore, are related to management failure, but only in the sense that top management has not succeeded in finding a strategy that resulted in the survival of the company.


3 For the vast majority of cases in category 4 the business failure is closely related to harmful, fraudulent or unethical actions taken by individuals or groups. In most cases, the company apparently lacks a structure in which a dominant manager/owner is adequately monitored and corrected for taking any illegitimate actions.

4 In a limited number of cases in category 4, the illegal or unethical actions of the full management board (as opposed to a single dominant manager) have caused business failure. In three cases, a lack of control regarding employees (rather than members of the management board) has resulted in a business failure (Barings, Ferranti, Wickes). However, as indicated before, most category 4 cases are related to the presence of a dominant manager/owner rather than to fraud being committed by a large portion of the management board.

5 The use of business failure prediction models indicates that the ex post predictability of the business failures based on financial ratio’s amounts to 74.4% for failing companies and 88.4% for non failing companies, resulting in an overall prediction rate of 81.4%. Therefore, the prediction rate of the model estimated in this study is within the range reported in earlier studies on failure prediction However, as indicated before, most category 4 cases are related to the presence of a dominant manager/owner rather than to fraud being committed by a large portion of the management board.


La frode amministrativa nelle aziende pubbliche è un fattore dominante nei casi europei di business failures. Questo fattore, indica la ricerca, si verifica in più del 50% dei casi analizzati, mentre secondo Argenti (1976) dovrebbe tendere verso il 37%.
"This type of business failure is closely related to the adverse role of a dominant manager or owner within a company whose engagements in fraudulent or unethical behaviour are unchallenged within the company and eventually result in disastrous consequences. Over 60% of the sample cases were related to economic factors which are considered part of the normal business risk related to running a major corporation."
In Europa i business failures sono collegati all’assenza di strategie di lungo termine, di valutazione dei progetti, dall’approvazione di investimenti che si rivelano successivamente inadeguati, da errate decisioni da parte delle amministrazioni. La seconda conclusione di questo studio correla i business failures europei a problemi di contabilità.
"In the 60 cases studied, there are 16 cases (27%) where failing internal control procedures were reported and there are 23 cases (38%) where creative accounting was a major issue. Creative accounting issues are most prevalent in category 2 where company management is tempted to engage in creative accounting procedures based on the argument that the current financial situation is only temporary and does not accurately reflect the underlying economic potential of the company. As a result, in a number of these cases company managers were sued for creative accounting activities aimed at misleading investors or creditors."
I risultati presentati in questo rapporto anche se si presentano con un certo numero di limitazioni dovute dalla scarsità di informazione, sono in grado di descrivere in modo soddisfacente lo scenario europeo degli ultimi 25 anni attraverso l’analisi empirica di 60 casi studio all’interno di alcune aziende pubbliche.

 

Heckscher-Ohlin: Difetti e futuro

     Caligs  lunedì, ottobre 24, 2005 Permalink 2 comments

La rituale conferenza, Nottingham Lectures in International Economics, ha presentato quest’anno un lavoro del prof. Alan Deardorff dell’Università del Michigan con il titolo: "The Heckscher-Ohlin Model: Flaws, Fixes and Future".

La conferenza si articola in tre punti:

1.
What's Not to Like about the Hecksher-Ohlin Model (ppt)
2.
Attempts to Make the Hecksher-Ohlin Model More Believable (ppt)
3.
Future Fixes of Flaws in the Hecksher-Ohlin Model (ppt)

La Teoria di Heckscher-Ohlin, pilastro per gli studiosi dell’economia internazionale, rappresenta nell’era della globalizzazione un argomento leva nel commercio internazionale. Secondo essa, in un contesto dove sono presenti paesi che esportano beni la cui produzione richiede un uso intensivo del fattore che per il singolo paese è relativamente abbondante e poco costoso, il commercio internazionale provocherà il pareggio nei rendimenti relativi e assoluti dei fattori omogenei fra gli stessi paesi in questione (posto alcune assunzioni).

 

Is the "European model" broken?

     Caligs  mercoledì, ottobre 19, 2005 Permalink 1 comments

Un interessante studio sui modelli economici e sociali presenti in Europa. Martin Wolf analizza la questione europea sul Financial Times chiedendosi Is the 'European model' broken? (il testo è riportato gratuitamente dal webzine Unions-Firms-Markets)

"To many outsiders the answer is a strong yes. Increasing numbers of insiders are beginning to agree. They fear that a supposedly savage Anglo-Saxon liberalism will overwhelm the civilised European economy. Happily, this dichotomy is grossly oversimplified.

...After many disasters, Europeans struck a successful balance between individual effort and collective responsibility after the second world war. All western Europeans share a commitment to what is, by global standards, generous, state-organised social welfare. But André Sapir, the
Belgian economist, notes there are at least four quite distinct models of how to do so."


Le parole e l’articolo di Martin Wolf si riferiscono ad una recente ricerca Globalisation and the Reform of European Social Models (pdf) presentata nell’ultimo ECOFIN Informal Meeting di Manchester da Andre Sapir, economista dell’European Center for Advanced Research in Economics and Statistics di Bruxelles.

Il lavoro dell’economista belga si sofferma ad analizzare il passato e il presente del continente, dividendo l’Europa in quattro modelli sociali: modello nordico, anglosassone, della Renania e mediterraneo. Tracciando successivamente la via per un futuro di coesione e sviluppo:

“the global economy of the twenty-first century is characterised by rapid changes which create both threats and opportunities. The biggest challenge for the European economy is to become sufficiently flexible so as to avail of the opportunities and surmount the threats. This requires, above all, reforming labour market and social policies.”

“the notion of “European social model” is misleading. There are in reality different European social models, with different features and different performance in terms of efficiency and
equity. Models that are not efficient are not sustainable and must be reformed. The combined GDP of countries with inefficient models accounts for two-thirds of the entire EU and 90 per cent of the eurozone.”

"Labour market and social policy reforms are a matter for the Member States alone, not for the
European Union. Nonetheless, there are some benefits in coordinating these reforms with other necessary reforms, especially for the countries in the eurozone which share a common currency. A two-handed strategy combining reforms at EU and national levels would be best. The Lisbon Agenda tried this but is rapidly failing."

 

Rischio bolla immobiliare

     Caligs  martedì, ottobre 18, 2005 Permalink 2 comments

Dopo la Fed anche la Bce da il suo annuncio: Il mercato immobiliare di alcuni paesi dell’Europa sono a rischio bolla. Nel Bollettino di ottobre dell’Istituto europeo con sede a Francoforte si segue con molto attentamente la dinamica dei prezzi in questo settore.
Il rischio, spiega la Bce, nasce da un duplice fattore: da un lato la forte liquidità presente in Eurolandia, anche per via della scarsa fiducia che i risparmiatori ripongono negli investimenti azionari e obbligazionari, dall’altro il basso livello dei tassi d’interesse sui mutui.

“Date le abbondanti condizioni di liquidità presenti nell’area la forte accelerazione della moneta e del credito segnala rischi per la stabilità dei prezzi su orizzonti di medio-lungo periodo”.

Il prolungato periodo di crescita dei prezzi nel mercato immobiliare mondiale presenta diverse anomalie rispetto al passato, che destano interesse e preoccupazione. La crescita dei prezzi reali delle abitazioni, infatti, non è mai stata così elevata in tanti paesi contemporaneamente per un periodo di tempo così lungo. Secondo l’indice elaborato dall’Economist, dal 1997 al I trimestre 2005 in 13 dei 20 paesi considerati la crescita è stata superiore al 50%, con picchi in Sud Africa (244%), Irlanda (192%), Regno Unito (154%), Spagna e Australia.

L’aumento dei prezzi, favorito come sottolinea la Bce da livelli dei tassi d’interesse ai minimi storici e dalla perdita di fiducia delle famiglie verso investimenti alternativi, ha determinato una rivalutazione senza
precedenti del patrimonio immobiliare dei paesi sviluppati, che negli ultimi cinque anni avrebbe raggiunto sempre secondo le stime dell’Economist la “stratosferica” cifra di 70 trilioni di dollari, con un incremento pari al 100% del Pil complessivo di tali paesi.

Sempre nel periodo 1997-2005, in 3 paesi tra quelli analizzati si è osservato un andamento opposto rispetto all’aumento generalizzato. Si tratta di Germania, Giappone e Hong Kong. Tuttavia, mentre a Hong Kong e nel Giappone la crescita dei prezzi può essere spiegata attraverso l’analisi della migrazione dall’occidente verso l’oriente a seguito del buon momento economico del continente asiatico. Il mercato immobiliare tedesco in particolare presenta alcune caratteristiche simili e confrontabili con quelle degli altri paesi Europei. In media un immobile in Germania oggi costa il -5,8% rispetto al 2000; peculiarità che hanno reso questo mercato una sorta di strumento per ridurre il rischio di portafoglio negli investimenti immobiliari internazionali.

Tra le giustificazioni di un tale andamento discordante in Europa vengono spesso allegate: una minore crescita della popolazione rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei (con una previsione di ulteriore declino nei prossimi anni) e una modesta crescita del Pil (dal 2000 la crescita reale del Pil in Germania è stata pari alla metà di quella francese e a circa un terzo di quella spagnola). Nei paesi dell’Europa mediterranea (soprattutto Italia e Spagna), inoltre, gran parte dell’aumento dei prezzi è stato trainato dalla domanda di immobili di qualità e dalla ricomposizione dei nuclei familiari, oggi meno numerosi che in passato.

Ma queste discordanze democratiche e di reddito, che oggi a mio avviso non sembrerebbero così divergenti, possono giustificare ancora in futuro questo enorme gap tra due realtà europee? La Germania si adeguerà al mercato immobiliare presente negli altri paesi o Francia, Italia, Gran Bretagna e Spagna assisteranno ad una bolla?

Quello che oggi sostengono stampa e istituzioni sembrerebbero dar credito alla seconda ipotesi. Questa ipotesi molto probabilmente diverrà realtà. Restano da chiarire dinamiche e tempi. Dei dati di straordinaria importanza da tenere sott’occhio sono il tasso di invecchiamento della popolazione e il deficit demografico del vecchio continente, chiavi nel lungo periodo per monitorare l’offerta di immobili. Soprattutto in Italia l’indice di proprietà abitative da parte della popolazione anziana è molto alto e potrebbe generare nel tempo un eccesso di vendite nel mercato immobiliare.

 

Produzione +1,5%; si cambia scena

     Caligs  venerdì, ottobre 14, 2005 Permalink 0 comments

L'Istat segnala al rialzo la produzione nel periodo luglio-settembre: è pari a +1,5% la variazione congiunturale stimata.

Sono i mezzi di trasporto ad aver messo il turbo alla nostra produzione industriale con un aumento superiore del 22% sull’anno precedente. A spingere il settore è la fiammata registrata dalla produzione di auto, + 46,5%, un dato su cui ha inciso l’effetto "grande Punto" prodotta su ritmi accelerati in agosto in vista del lancio e commercializzazione iniziata a settembre. I segni positivi nel mese più caldo hanno interessato anche la produzione di mobili, +18%, la lavorazione di metalli, +15% e la produzione di macchine e apparecchi meccanici, +14%.
Agosto positivo anche per le industrie manifatturiere, si sono registrati aumenti del 10% per articoli in gomme e materie plastiche, per i generi alimentari, per il tabacco e legno. Fanalino di coda, ma capace di far registrare un incremento dopo un passato deludente è la produzione dell’industria tessile e dell’abbigliamento, un +0,5% significativo. Con segno negativo troviamo il settore dell’energia: elettricità acqua e gas, ma il primato nel segno meno lo registra un altro settore classico del made in Italy; l’industria di pelli e calzature si porta a casa un pesante -20%.

Proprio con l’aiuto di questi dati in Italia si torna a sorridere. Lo conferma anche la Banca Centrale Europea che alla luce dei numeri rivede le stime in casa nostra per il secondo semestre dell’anno. “L’Italia si aggrappa al treno europeo”, titola oggi Luca Paolazzi sul quotidiano il sole 24 ore, trainata dal buon momento delle industrie tedesche e da una radicale trasformazione degli assetti aziendali dopo un periodo deludente. A sentire stampa ed istituzioni la fase di recessione sembrerebbe essere finita, anche se è ancora presto per parlare di ripresa. Bisognerà prima attendere la pubblicazione dei dati sui consumi e sulla domanda di prodotti finiti necessari per confermare quelli odierni sulla produzione industriale. Ciò che si produce, difatti, può restare nel magazzino delle industrie se nessuno è intenzionato ad acquistarlo.

 

Giochi da Nobel

     Caligs  giovedì, ottobre 13, 2005 Permalink 0 comments

Il premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel è stato assegnato congiuntamente a Robert J. Aumann e Thomas C. Schelling "per aver fatto avanzare la nostra comprensione del conflitto e della cooperazione tramite la teoria dei giochi". Buona la scelta dell’Accademia di Svezia: i due studiosi hanno introdotto numerose idee innovative, con forte impatto sulle discipline economiche e sociali. Aumann ha anche analizzato le sue idee in modo sistematico e formale, dimostrando importanti teoremi. Ciò rende il suo premio, forse, più meritato.

Leggi l’articolo pubblicato da lavoce.info

 

Finanziaria:ora arriva il bello

     Caligs  mercoledì, ottobre 12, 2005 Permalink 0 comments

La finanziaria per il 2006 è stata presentata nei tempi previsti grazie soprattutto al tour de force del ministro Tremonti ma i tempi stretti e le difficili condizioni nelle quali è stata disegnata non hanno permesso di chiarire tutti i dettagli della manovra.

Sicuramente questa Finanziaria ha il pregio di non aver ceduto all’uso di una finanza creativa e di misure una tantum come il condono fiscale per cercare di contenere il disavanzo e rispettare gli impegni presi con Bruxelles: gli interventi per lo sviluppo, per esempio, non sono poi così generosi per un anno elettorale e la manovra non garantirà grossi risparmi per le imprese né cambierà significativamente la situazione finanziaria delle famiglie.

Il vero problema è che al momento rimangono incertezze sia sull’efficacia delle misure di copertura proposte, sia sullo stato dei conti rispetto al quale vengono effettuati i tagli; perciò molti osservatori hanno già espresso dubbi sul target per il 2006. La più semplice delle analisi può essere fatta attraverso la visualizzazione delle principali misure sul fronte della spesa e delle entrate previste dal disegno di legge.


Uno degli elementi principali di cui la manovra deve tenere conto è il dato tendenziale del deficit di bilancio. Nel Dpef 2006-2009 e nella Relazione Previsionale e Programmatica il governo stima al 4,7% del Pil il disavanzo 2006. Le stime del Fmi, in linea con quelle di molti istituti bancari italiani, collocano invece il tendenziale intorno al 5,1% del Pil, in quanto scontano un tasso di crescita dei consumi intermedi ed in particolare di stipendi e spese sanitarie più elevati di quanto indicato dalle proiezioni del governo. Se le cose stanno così anche assumendo che le misure introdotte dalla finanziaria producano tagli strutturali per 11,5 miliardi di euro difficilmente il deficit scenderà al di sotto del 4%.

Una manovra da 19 miliardi, 3,5 per lo sviluppo
Tra le maggiori entrate e minori spese il disegno di legge prevede quindi risorse per 19 miliardi di euro, che dovrebbero coprire la riduzione del disavanzo per 11,5 miliardi, maggiori spese per 4,5 miliardi e la manovra per lo sviluppo per 3,5 miliardi.

Alle famiglie andranno 1,3 miliardi (la tipologia dell’erogazione è ancora aleatoria). Alle imprese vengono promessi 2 miliardi a riduzione degli oneri retributivi. Minori introiti per circa 40 milioni derivano dall’abrogazione dell’imposta sui brevetti che rappresenta la principale misura volta a stimolare l’innovazione. Contiamo inoltre il costo, 50 milioni, degli interventi a favore dei distretti industriali.

Tagli al Bilancio per 9,1 mld.
Sul fronte della spesa, il disegno di legge prevede tagli al bilancio dello Stato per 9,1 miliardi euro. Risparmi che dovrebbero essere garantiti tramite una riduzione della spesa corrente per circa 6,1 miliardi di euro e da investimenti pubblici non superiori al 95% del valore del 2004 ( circa 3 miliardi ). La parte più consistente dei tagli alla spesa corrente dovrebbe venire da minori spese dei ministeri. Per la sola Sanità si prevedono tagli per 2,5 miliardi di euro, ma l’efficacia di tale risparmio è ancora una volta condizionale alla stima del fabbisogno tendenziale, che potrebbe aggirarsi su di un livello superiore ai 96 miliardi stimato dal governo. All’incirca 1,6 miliardi dovrebbero venire da tagli ai consumi intermedi e principalmente da minori trasferimenti alle imprese sia pubbliche che private. Ulteriori minori spese dovrebbero essere garantiti tramite un taglio al pubblico impiego per 0,98 miliardi di euro tra inferiori stipendi per ministri, parlamentari e altre cariche e limitazioni sulle assunzioni a tempo determinato.

L’obiettivo di razionalizzazione della spesa è indubbiamente rispettabile, anche se rimane incerto che tagli per 2,5 miliardi a consumi intermedi e redditi da lavoro siano effettivamente realizzabili, dal momento che già il vincolo della crescita nominale non superiore al 2% risulta di difficile conseguimento. È inoltre probabile che in un anno elettorale il rischio di evitare tale target sia ancor più elevato.

La Finanziaria prevede inoltre minori trasferimenti agli Enti Locali per 3,1 miliardi, che mi auguro sia applicato con piena efficacia dall’amministrazioni destinatarie. Il rischio che tale risparmio torni per altra forma nel computo del deficit è però alto. Di fatti, è già stato sollevato il dubbio che in un anno di transizione politica gli Enti Locali possano ricorrere ad escamotages per aggirare la stretta, sperando poi in una sorta sanatoria con l’aiuto del nuovo esecutivo.

Sembra esserci un’incognita ancora grande sul fronte delle maggiori entrate stimate a 6,8 miliardi di euro. La Finanziaria prevede un incasso di 0,8 miliardi dalla tassa sulle reti SNAM e Terna, incasso in parte dubbio vista la minaccia di ricorso per illegittimità da parte delle società interessate. Vi si aggiungono circa 0,3 miliardi dalla lotta all’evasione, per esperienza di incerta realizzazione. Compaiono quindi circa 2 miliardi tra rivalutazione dei cespiti d’impresa (0,9 miliardi) e svalutazione dei crediti bancari (1,1 miliardi) che sembrano gli interventi di più sicuro risultato. Mancano all’appello circa 3,7 miliardi: per quanto si è capito, di questi circa 0,6 miliardi dovrebbero venire dai proventi dei giochi e 2,2 miliardi dalla regolazione dei flussi di Tesoreria, non è ancora chiaro come sarà reperito il restante miliardo.

Dove arriveremo?
L’analisi e la scarsità di informazioni sui dettagli della Finanziaria 2006 ci fanno restare con i piedi a terra ipotizzando che il deficit 2006 sarà più vicino al 5% che non al 4%. Ciò significa che anche la dinamica del debito sarà prevalentemente di segno negativo. Assumendo per il disavanzo lo scenario peggiore, infatti, per stabilizzare il debito al 108,3% del PIL stimato nel 2005 servirebbero circa 15 miliardi in privatizzazioni, un obiettivo tutt’altro che facile. Non è escluso che si salga al 109% del Pil.

Successivamente il collasso del Patto di Stabilità, i dati macroeconomici di recessione e la perdita di credibilità delle istituzioni, la moneta unica sta offrendo un’impagabile protezione all’economia e al debito pubblico italiano dal giudizio severo dei mercati. Ritardare l’aggiustamento della finanza pubblica potrebbe però avere ulteriori effetti negativi sulla credibilità del Paese. Inoltre, le agenzie di rating Fitch e S&P hanno rivisto l’outlook per l’ Italia da stabile a negativo tra giugno e luglio. Entrambe le agenzie si sono espresse, a seguito delle dimissioni di Siniscalco, sulla necessità per l’Italia di ridurre il debito. Se l’Italia dovesse fallire nell’obiettivo di ricondurre il disavanzo su di un sentiero discendente si profilerebbe il rischio di un downgrade (attualmente: AA- per S&P e AA per Fitch).

 

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