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La Flat Tax è ora improponibile

     Caligs  giovedì, settembre 01, 2005 Permalink 3 comments

La flat tax, forse uno dei temi più caldi che i governi europei occidentali dovranno affrontare nel prossimo autunno. Testato dai paesi anglosassoni e fatto proprio da quelli neo-europei il modello di stampo liberista è argomento di discussione tra gli economisti.

Quella dell’aliquota unica, la flat tax, è un’idea messa a punto da Robert Hall e da Alvin Rabushka, esponenti del centro monetarista dell’Hoover Institution for War and Peace alla Stanford University.
A proporla in America è stato soprattutto Dick Armey, l’ex capogruppo repubblicano alla Camera dei Rappresentanti, che la presentò al Congresso nel 1995, come parte del programma neo-conservatore “Contract with America”, e oggi continua a sostenerla con le sue attività nell’orbita della Mont Pelerin, la grande loggia degli economisti e uomini dell’alta finanza ultraliberisti.La flat tax di Armey consiste in un’aliquota d’imposta unica del 20% su tutti i redditi delle persone e delle imprese. Secondo lui poi questa aliquota si potrebbe ridurre al 17%, nel giro di due anni. Ma con il 17%, come spiegato oltre, non è possibile ottenere un gettito bastante a coprire il bilancio. Sarebbe bello! Ma che ne facciamo del buco? La flat rate produrrebbe un gettito nettamente inferiore rispetto a quello del sistema tributario in vigore, per cui o la spesa pubblica dovrà essere ridotta con l’ascia, oppure il reddito esentasse deve scendere al di sotto dei 20 mila dollari l’anno.

L’Italia secondo Alvin Rabushka, in una intervista a Panorama, si presenta perfetta candidata insieme alla Francia Germania e Spagna. Ma lo stesso discorso fatto per gli Stati Uniti sembrerebbe ancora più complesso per le amministrazioni europee, considerando i vincoli di bilancio che impone Maastricht.

Data la notevole confusione che spesso caratterizza il dibattito sulla politica fiscale, conviene preliminarmente precisare il significato dei termini utilizzati per descrivere la politica economica. Personalmente con termine politica fiscale designo un gruppo di manovre di bilancio statale e di altri enti pubblici, definite dalla politica economica come STRUMENTI, essenzialmente con l'OBIETTIVO di garantire il benessere sociale. Il dibattito che ha come argomentazione la riforma fiscale presente in questi giorni su quotidiani, periodici e sui blog di Tocqueville tende a considerare come obiettivo il taglio delle tasse quando questa variabile non è altro che un mezzo per garantire al cittadino un efficiente servizio pubblico. Sarebbe, quindi, un enorme errore riformare il regime fiscale senza prima minimizzare la spesa pubblica.

I conti pubblici Italiani, come quelli Francesi, Tedeschi e Spagnoli, sono caratterizzati da un enorme debito pubblico affiancati da un spesa pubblica mal gestita. Infatti, se si analizza l'equazione di tipo istituzionale che considera relazioni e vincoli derivanti dalla necessità di rispettare norme e direttive (come ad esempio il divieto di finanziamento monetario della spesa pubblica previsto dagli accordi di Maastricht)


ΔG = ΔT + ΔB

dove G, T e B sono, rispettivamente, spesa pubblica, tributi, debito pubblico.

essa ci fa notare che una diminuzione dei tributi, considerando G una costante, può essere finanziata solamente da un aumento proporzionato del debito pubblico. Con questa condizione e considerando il tetto del 3% del rapporto deficit / Pil inflitto dai parametri di Maastricht, l'Italia può ridurre le imposte solamente in due casi:

- registrando di un elevato tasso di crescita. Esso diminuirebbe il divario del rapporto deficit/pil permettendo di finanziare il taglio delle tasse con la spesa pubblica.
- apportando un grande taglio alla spesa pubblica. Esso permetterebbe di diminuire sia le tasse che il debito pubblico.

In conclusione, non e possibile considerare la pressione fiscale come un obiettivo di politica economica, anche se è allettante utilizzare questo pretesto per motivi propagandistici. La diminuzione del regime fiscale, quindi, può essere un mezzo sostenitore dello sviluppo economico attuabile solamente durante un ciclo di espansione economica e finanziata dal debito pubblico, o unicamente con un gran taglio della spesa pubblica.

Resta facile comprendere perchè paesi come quelli dell’Est Europa possono permettersi un’unica e bassa aliquota se si osserva il valore del loro debito pubblico. In sequenza gli Stati e il dato sul debito pubblico in % del pil: Estonia 5,8%, Lettonia 15,6%, Slovacchia 27,1%, Repubblica Ceca 21,9 e Romania 21,8.

3 Comments:

  At 4:15 PM, Blogger JimMomo said...

Troppo realista per i miei gusti. Avevo intitolato il mio post Flat Tax Dreamers.
:-))

A voi esperti sta il compito di realizzare il sogno. Chi ha detto che la spesa pubblica non può essere tagliata?

saluti

 

  At 6:05 PM, Anonymous Anonimo said...

Articolo di buon senso.
Ma non impediteci di sognare uno small government con la sua flat tax. GM

 

  At 12:06 PM, Anonymous Anonimo said...

Siamo arrivati alle stesse conclusioni.Io non credo alle manovre del tipo "starving the beast", di solito la vischiosità della spesa pubblica è tale che si otterrebbe solo il risultato di un'esplosione di deficit e debito. E comunque vale la regola aurea che le rivoluzioni fiscali devono essere sostenute dall'elettorato. E' fin troppo facile farsi eleggere promettendo meno tasse, ma poi nessuno vuole pagare i servizi di tasca propria...

 

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