L'economia di un Labour con sangue thatcheriano
Caligs ║ lunedì, maggio 09, 2005 ║ Permalink ║ 0 comments
Molti quotidiani hanno messo in evidenzia la bastonata che ha colpito il laburismo per la perdita di numerosi voti che però non sembrano mutare, rispetto al passato, il numero dei seggi posseduti. La vittoria personale di Blair è invece indiscussa, dimostrando di essere più che un leader; proprio perché invece di seguire i suoi compagni di partito e più in generale l’opinione pubblica, ha proseguito per il suo sentiero tracciato dalla propria razionalità. Non ha avuto timore di contrapporsi all’ala sinistra del suo partito non soltanto sull’Iraq, ma anche di fronte a temi come l’economia e il suo cosiddetto “thatcherismo”. Essere democratici non esclude di non saper vedere più lontano di quel che vedono e desiderano i cittadini.
L’economia britannica a registrato, e continua a farlo, tassi di crescita sostenuti, superiori a quelli dell’eurozona. Nel 2004 il prodotto interno lordo e' aumentato del 3%, nonostante l'incerto quadro internazionale ed il conflitto iracheno. Le grandi riforme strutturali e la cauta politica macroeconomica dei due esecutivi laburisti hanno creato le condizioni per una crescita che dura da oltre un decennio. Il Regno Unito ha attraversato in questi anni un periodo d'espansione economica non inflazionistica. La crescita dei prezzi al consumo è sotto controllo con il tasso annuo ai livelli minimi dell'ultimo trentennio che ha favorito un boom dei consumi e del mercato immobiliare. Difatti si può definire un’economia trainata dalla domanda interna, dalla vivacità dei consumi privati e dall’andamento dei flussi di spesa pubblica.
Nel passato biennio il bilancio dello stato ha registrato deficit crescenti. Nel 2003 il disavanzo delle pubbliche amministrazioni britanniche ha raggiunto la cifra record di 35 miliardi di sterline (pari al 3,2% del Pil) ed i dati del 2004 confermano un deficit in crescita. L'impegno bellico in Iraq ed il finanziamento della "guerra al terrorismo" hanno influito sul deterioramento della finanza pubblica. Il Tesoro ha reso noto di aver speso 2,3 miliardi di sterline nello scorso biennio e di avere ancora disponibile una riserva di £ 1,2 miliardi. Per l'anno fiscale 2004-2005 è prevista un'ulteriore riserva di £ 0,3 miliardi.
Le rigorose politiche fiscali e di controllo della spesa pubblica del primo Governo di Tony Blair sono ormai un ricordo del passato. Il ministro dell'economia Gordon Brown aveva adottato nel '97 la programmazione triennale e aveva introdotto la cosiddetta "regola d'oro", per mantenere invariato il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno. A partire dal 2002 il Cancelliere dello Scacchiere ha avviato una politica di forte incremento della spesa pubblica in funzione anticongiunturale. Le dichiarazioni di Gordon Brown, uomo forte del governo laburista e possibile futuro primo ministro, concludono un ciclo ventennale, avviato dai governi conservatori di Margareth Thatcher, di programmato calo della pressione fiscale.
Gli ultimi rapporti semestrali dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) hanno invitato il Governo britannico alla prudenza, sottolineando la opportunità di procedere, in una fase di ripresa, ad un "aggiustamento morbido" tramite un aumento delle tasse oppure una riduzione della spesa corrente. Sia per l'OCSE che per il Fondo Monetario Internazionale (FMI) la velocità con cui la spesa pubblica sta crescendo potrebbe portare ad un "surriscaldamento" da eccesso di finanziamenti per i servizi pubblici.
L'Esecutivo, con la legge finanziaria 2004/2005, ha confermato l'intenzione di aumentare la spesa pubblica nei settori sanità, trasporti, istruzione. Per finanziare tali spese aumenteranno i contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro e si farà ricorso all'indebitamento pubblico.
Nel mercato del lavoro la disoccupazione, dopo 13 anni di crescita economica ininterrotta, è ai minimi storici. L’unica macchia nera è la mancanza di manodopera qualificata nella Capitale ed in tutto il Sud Est dell'Inghilterra, che crea problemi di competitività nei settori della scuola, dei trasporti pubblici, delle costruzioni e della sanità.
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